A chi giova il Twinzer?
Sottotitolo: a volte ritornano
[23/07/2008]
Ricordate Star Trek?
Diario del Capitano, data astrale: aprile 2009, una normale edicola a Firenze, acquisto la migliore rivista italiana di windsurf.
Vedo che in copertina risalta l'argomento del twinzer e pagando esclamo: "vai, ci risiamo!" mentre il giornalaio si stampa un punto interrogativo sulla propria faccia e mi fa il resto.
Mi incammino verso la stazione e al contempo inizio a leggere con quel fare da rabdomante che mi porta a schivare cacche di cane con curve estreme degne di Josh Angulo sulle onde.
Sfoglio un po' per vedere i contenuti senza correre il rischio di sdraiarmi al prossimo gradino o prendere un palo semaforico in fronte. Inizio a leggere...ah, un articolo sulla prova wave PWA davvero ben scritto ed emozionante e mi riprometto di tornarci: pare che sia nata una nuova stella come non se ne vedevano dai tempi di Cantagalli, tale Francisco Porcella il cui cognome ci suggerisce essere figlio d'arte. Da leggere.
Andiamo avanti...uhmmm, guarda guarda: dopo circa dieci anni durante i quali -forse giustamente- le tavole a doppia pinna erano argomento per chi surfa le onde oceaniche con vento laterale (side shore), i produttori di tavole tornano alla carica -guarda caso tutti insieme- presentando tavole wave comprese fra 70 e 100 litri (!!) con doppia pinna, le cosiddette twinzer. Interviste a tutti gli shaper dei maggiori produttori i quali, con sfumature e grado di onestà diversi, ci spiegano le meraviglie di questa tecnologia "soltanto agli inizi e che potrebbe avere sviluppi entusiasmanti". Ma cosa non direbbero pur di venderci novità anche soltanto apparenti. Il twinzer è un'idea vecchia - ma non per questo sbagliata - ed è vecchia anche l'intenzione di ripresentarlo massicciamente sul mercato. Oggi come a metà degli anni novanta, tutti i maggiori produttori (guarda caso tutti insieme) si sono accorti che questa soluzione è fondamentale per le vostre surfate sia che vi chiamiate Nik Baker from Australia oppure Mario Cipputi* from Lambrate.
E chiaramente il tormentone orientato a noi italici peninsulari nasce per mettere la pulce nell'orecchio e farci venire voglia di comprare un balocco nuovo. Certo che, come dicevo poc'anzi, il grado d'onestà degli shaper intervistati varia un po'. Alcuni ammettono che si tratta di materiale altamente specializzato e orientato al side shore quindi per spot prettamente oceanici, altri invece ne fanno una questione di filosofia e propongono tavole fino a 100 litri dotate di doppia pinna. E ancora: i più onesti riconoscono almeno lo svantaggio idrodinamico dovuto a maggiori attriti, partenza in planata ritardata e portanza minore, il tutto a fronte di curve strettissime "off the lip" e ribadiscono che se nelle tue uscite ti interessa fare salti ed essere veloce la pinna singola è quel che fa per te.
No no, gente: non ci stiamo, non ci caschiamo più. Fermo restando che chi naviga ad alto ed altissimo livello è in grado di apprezzare differenze anche piccole nell'attrezzatura, pensiamo che questo modo di fare marketing nel nostro sport abbia prodotto solo danni. Lo scollamento fra ciò che le persone chiedono e quello che i produttori offrono è davvero imbarazzante. Assistiamo - almeno noi di WSGuide con distacco - a questo susseguirsi di filoni tecnologici decisi a tavolino che si susseguono da quasi vent'anni. A volte, come in questo caso, si ripetono pure! E penso agli alberi di diametro ridotto e alle vele che ti impongono di usarli con tutto il relativo corredo di prolunga e adattatori per il boma; penso a Mistral che per anni ha voluto imporre piedi d'albero di formato proprietario; penso, senza essere retrogrado, alle vele in monofilm leggero senza poter scegliere materiali più duraturi non da gara come lo stesso monofilm tramato, purtroppo relegato solo a vele wave o freestyle e non per tutta la loro interezza; penso ai troppi standard di scasse per le pinne quando ne basterebbero due: uno passante ed uno non passante.
Sia ben chiaro: in questo mare magnum ci sono state innovazioni che davvero hanno rivoluzionato le attrezzature, ma davvero sfugge alla nostra comprensione questo meccanismo caotico lungi dall'esser industrialmente darwiniano: ci fosse una selezione naturale in cui solo le modifiche vincenti sopravvivono mentre quelle sbagliate soccombono, perlomeno ci verrebbe risparmiata la ricomparsa ciclica del twinzer come tavola adatta ai nostri lidi mediterranei quando solo una decina di anni fa questo tentativo commerciale -pardon, tecnologico- naufragò malamente.
Saluti ai naviganti.
Simone
* il tornitore in tuta blu delle vignette di Altan
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